
Da sempre l’uomo cerca di immagazzinare l’informazione e mantenerla intatta nel tempo nella maniera più efficace possibile. All’inizio c’era il passaggio vocale, poi grazie alla scrittura siamo passati ai testi ma man mano che il tempo passava le informazioni aumentavano sempre di più e c’è stato quindi bisogno di trovare strategie per raccogliere più contenuti possibili in spazi che siano i più ridotti possibili. In questo modo siamo arrivati ai nastri magnetici passando poi per i supporti ottici (CD, DVD, Blu-Ray ecc..) e i dischi magnetici fino ad arrivare alle memorie flash, tutti supporti, soprattutto gli ultimi citati, in grado di ospitare al loro interno ciò che prima aveva bisogno di intere biblioteche per essere conservato.
Ovviamente e oserei dire anche fortunatamente, non ci siamo accontentati e la ricerca che punta a trovare nuovi metodi sempre più efficienti per l’immagazzinamento dell’informazione non si è fermata.
Lasciando da parte la miniaturizzazione che secondo il mio parere da completo inesperto è arrivata comunque a livelli incredibili, i problemi principali dei supporti moderni sono che per memorizzare le informazioni è necessaria una discreta quantità di energia e inoltre non si può trascurare che la loro vita difficilmente arriva ai venti anni.
Un approccio che è stato utilizzato per migliorare questi due aspetti è quello di sfruttare la proprietà di alcune molecole (tipo DNA e alcuni particolari polimeri) di riuscire ad immagazzinare in un qualche modo l’informazione ma il problema di questa strategia però sono gli elevati costi di produzione e la bassa velocità di lettura/scrittura e codifica.
George Whitesides, Amit Nagarkar e colleghi nell’intento di smentire quelli che erano stati i risultati ottenuti al momento con questo approccio hanno sviluppato un metodo molto interessante che sfrutta la radiazione (luce) emessa per fluorescenza da alcune particolari molecole.
I ricercatori di fatto hanno selezionato sette coloranti fluorescenti disponibili sul mercato che emettono luce a differenti lunghezze d’onda (“colori”) e li hanno sfruttati come bits, dove ogni bit vale 0 o 1 in base alla presenza o meno di uno dei coloranti.
Gli scienziati sono riusciti nel loro scopo e sono stati in grado di codificare parte di un articolo del famoso scienziato Michael Faraday.
Per immagazzinare l’informazione è stato usato come supporto una latrina di materiale plastico capace di formare forti legami covalenti con le molecole dei coloranti i quali a loro volta sono stati depositati in piccole macchie circolari tramite l’ausilio di una stampante a getto di inchiostro. Per la lettura è stato utilizzato invece un microscopio a fluorescenza (uno strumento in grado di analizzare la luce emessa da ogni molecola di colorante presente in ogni singola macchia), i cui dati forniti sono stati poi decodificati tramite un software apposito.
Secondo i dati raccolti dai ricercatori il supporto prodotto con la loro tecnica può essere letto mille volte senza perdita significativa dell’intensità di fluorescenza ed inoltre la velocità di scrittura/lettura è di 469 bit/s, la più alta tra tutti i metodi che di immagazzinamento dei dati che fanno uso di molecole.
Vi lascio un video riguardante il progetto proveniente direttamente dal canale YouTube di ACS:
Per finire vi lascio come sempre il riferimento alle fonti utilizzate per la stesura dell’articolo nonché il link all’articolo originale:
- https://phys.org/news/2021-10-mixtures-fluorescent-dyes.html
- Storing and Reading Information in Mixtures of Fluorescent Molecules, ACS Central Science (2021). pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acscentsci.1c00728